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Trama

Stati Uniti, 1890. Frank T. Hopkins è un cowboy noto per aver vinto, in sella al suo mustang Hidalgo, diverse gare di resistenza sulla lunga distanza e per essere il più veloce portaordini al servizio dell’esercito.

Caduto in rovina, si esibisce col fido cavallo nel circo itinerante Wild West, proprietà di Buffalo Bill, finché non riceve una proposta dal lontano Oriente.

Si tratta di partecipare a una corsa vecchia di mille anni, detta “Oceano di fuoco”, che si svolge attraverso i paesi arabi, lungo il Golfo Persico fino all’Iraq, per un totale di tremila miglia, per lo più di rovente deserto.

Giunto al raduno dei partecipanti, Frank viene accolto dall’organizzatore, lo sceicco Riyadh, il quale ha messo in palio centomila dollari e lo ha invitato per dimostrare l’assoluta superiorità dei destrieri mediorientali.

Recensione

Ispirato alla vita dell’autentico Frank T. Hopkins (Viggo Mortensen), giramondo ed ecologista votato alla difesa della razza di cavalli mustang (che il governo americano voleva sterminare dopo la conquista del West), Oceano di fuoco è un film d’avventura di medio livello, realizzato da un discreto mestierante, già autore di Jumanji e Jurassic Park III.

Una pellicola che, tramite i toni dei dialoghi e la selezione delle location, nonché dell’epoca storica e di un protagonista dal collaudato fascino cavalleresco, assume man mano i connotati dell’operazione-nostalgia realizzata a tavolino e parzialmente riuscita.

Il perché lo spiega il tragico avvicendamento di una prima ora molto efficace, con tutta l’aria della lunga introduzione, di una parte centrale piatta, che dovrebbe corrispondere agli episodi pieni d’imprevisti, e un rush finale fin troppo buonista, il quale riesce però a vantare alcuni sussulti alquanto poetici, incluso l’epilogo.

Piacevole, anche se con parecchie lacune, parzialmente colmabili dai duetti tra Mortensen e l’inossidabile Omar Sharif (lo sceicco).

Sax Marmotta