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Recensione

Forse quest’opera, per levità, risulterà troppo contemplativa a coloro che amano l’azione.

È un effetto attentamente ricercato, trattandosi, per scelta, dell’ultima prova davanti alla macchina da presa di Robert Redford, che dopo Il drago invisibile ritrova il regista David Lowery (il quale, analogamente, torna a lavorare per la terza volta con Casey Affleck, qui demotivato poliziotto).

L’inevitabile aura di summa d’una carriera gloriosa impone un’atmosfera sospesa, ma non per questo irrealistica.

Di più: benché la storia – ispirata a un fatto vero, documentato da un articolo di David Grann da cui discende lo script dello stesso Lowery – dell’attempato rapinatore (ed esperto di evasioni) Forrest Tucker si svolga nel 1981, il film, tra narrazione e tecnica, s’impegna a riprodurre uno stile degno del miglior cinema americano realizzato tra i ’60 e i ’70; come se si stesse constatando una svolta in atto, fra omaggi a ironici western e gangster movies (Butch Cassidy, La stangata) o a serrati thriller (La caccia, apertamente citato) interpretati dal protagonista.

Soprattutto, deve emergere il piacere di svolgere la propria attività (di ladro o d’attore) con un garbo riconoscibile da chiunque, a giustificare inganni e crimini.

L’inossidabile divo è circondato da un cast all’altezza, dalla dolce coetanea Spacek ai sornioni complici Glover e Waits (e s’intravede perfino Keith Carradine).

Pregnante il cameo di Elizabeth Moss.

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Max Marmotta