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Trama

La benestante famiglia Tilson abbandona la caotica casa di città per trasferirsi in campagna, nella tenuta di Cold Creek, appena acquistata.

Nonostante i lavori di ristrutturazione richiedano molto tempo e parecchia fatica, i genitori Cooper e Leah e i figli Kristen e Jesse si rimboccano le maniche galvanizzati dalla prospettiva di una nuova vita, più tranquilla e meno problematica di quella vecchia.

Quando anche i rapporti con la piccola comunità locale cominciano ad ingranare, bussa alla loro porta il giovane Dale Massie.

Il ragazzo, appena scarcerato, è l’ex-padrone della casa e chiede ai neo-proprietari di lavorare per loro.

Dal momento in cui i Tilson accettano si verificano degli strani incidenti.

Recensione

Presentato da un trailer ingannevole, nonché da un titolo italiano ancora più menzognero, Oscure presenze a Cold Creek è un film che ben poco ha a che fare con la moda lanciata dal bravo Shyamalan pochi anni fa: di paranormale non c’è difatti nulla e il thriller trova un piccolo e timoroso spazio solo nel finale.

Il ritorno al cinema della Stone (Leah) avviene quindi senza battage e con una pellicola incerta sulla scelta del registro fin dalle prime battute, capace di optare nella seconda metà per un banale confronto tra urbano e non urbano, che a sua volta sfocia in una scialba versione di Cane di paglia.

Il regista, compositore e produttore Mike Figgis si limita a dimostrare di non aver perso il mestiere, anche se non è sufficiente a migliorare l’insieme; infatti, dopo due ore circa, sorge spontaneo chiedersi cosa possa averlo spinto così in basso dopo aver realizzato lo splendido Via da Las Vegas.

Sax Marmotta