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Recensione

Di solito le “seconde parti” o i prequels, quale è questo, risultano inferiori agli originali.

Qui il film-fonte era il mediocre Ouija (2014), fra i tanti horror anonimi contemporanei, che riscopriva, sprecandola, la tavoletta medianica (indicata dal titolo), ormai desueta nel cinema di paura; premesse tutt’altro che buone, dunque.

Invece Flanagan che dopo l’ottimo Oculus e il quantomeno interessante Somnia è ufficialmente una delle risorse migliori che il genere abbia a disposizione negli USA – è riuscito nell’ardua impresa di far dimenticare l’irrilevante precedente (richiamato a fine titoli di coda) e a innalzare risolutamente il livello narrativo, attingendo a un’atmosfera qua e là degna di Rosemary’s Baby (l’azione si svolge nel 1967, più o meno ci siamo), con un’inquadratura di padre Hogan (Thomas, protagonista cresciuto di E.

T.) mutuata da L’esorcista.

Quindi i punti di riferimento (e gli impegni assunti con il pubblico) sono arditamente alti.

E se non fosse abbastanza per evocare i bei tempi, il lungometraggio, girato in digitale, esibisce un’ulteriore finezza: reca i nostalgici bollini di sincronizzazione, come se fosse ancora suddiviso in rulli di pellicola.

La trama illustra all’inizio gli imbrogli (quasi a fin di bene) orchestrati da Alice (Reaser), che simula sedute spiritiche con la preziosa collaborazione delle figlie Lina (Basso) e Doris (Wilson); un giorno, però, per “gioco” scomodano un vero spirito… .

Max Marmotta