Video & Photo

1 videos

Recensione

Ogni storia è menzogna, frutto d’invenzione, bene che vada (se ancorata alla realtà) di manipolazione.

È un concetto che gli sceneggiatori/protagonisti sentimentalmente legati pure nella realtà Doria Tillier (bravissima e con il nome storpiato dai credits italiani) e Nicolas Bedos (anche regista) stabiliscono da subito.

Anzi, non si sa mai nemmeno chi è il vero autore di una trama (altro argomento affrontato lungo il film e doppiamente sublimato da un finale che calca un po’ a sproposito sul mystery).

Nel clima “rivoluzionario” del 1971 le esagerate aspirazioni letterarie dell’impetuoso Victor si scontrano con l’amore immediato dell’appartata eppur determinata Sarah, appetibili origini ebraiche (il giovanotto s’approprierà del suo cognome) e competenze linguistiche superiori.

Tra successi e crisi, gelosie rimpallate e un paio di figli – il tardo Arthur (assente ingiustificato in molti passaggi), perno di un argomento serio e temuto dal cinema (l’anaffettività genitoriale), e Chloé, nata in circostanze più “salde” –, tra un ego minato dalla calvizie e delle nozze di riserva (con un ulteriore risvolto superficiale), una relazione che attraversa decenni d’arte e politica fermandosi al 2016, quando uno zelante giornalista (Antoine Gouy) cerca di raccogliere elementi per una biografia (in effetti, è a un flashback che assistiamo).

Omaggi (ad Allen ma non solo), sgradevolezze “preziose”, un’ambizione sostanzialmente sana.

.

Max Marmotta