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Recensione

Non è solo colpa della regia abbastanza arruffona di Christian Alvart (anche co-sceneggiatore), giovanotto tedesco che già può dirsi adottato dal cinema a stelle e strisce, se questo pastiche fanta-horror che attinge senza vergogna da Alien, Predator (quelli veri, però), Dante 01 e chissà quanti altri titoli di genere (si potrebbe tirare in ballo perfino Fight Club!) non gira nel verso giusto.

Per carità, lo scioglimento “binario” dei nodi o l’attraversamento camuffato dei temibili corpi ammucchiati dei mostri (sulla loro genesi manteniamo per correttezza il riserbo) non sono da buttare via, ma rivelano presto la loro natura di strade ampiamente battute.

Analogamente a molte componenti del plot, articolato su due astronauti, il caporale Bower e il tenente Payton, risvegliatisi privi di memoria dopo un lungo sonno “incapsulato”, i quali tentano di capire su che navicella spaziale stanno viaggiando e a che scopo, accorgendosi nel frattempo di non essere i soli a bordo e che è il caso di diffidare praticamente di tutti gli altri passeggeri, presentino fattezze umane o meno; accessorio specificare che l’azione si svolge in un futuro (tra oltre 150 anni) in cui la Terra ha esaurito le proprie risorse e ogni speranza è riposta in un pianeta dalle sembianze a essa simili (segnatamente denominato Tanis), in tempo per fare il verso ad Avatar… In un contesto dove pure i dettagli sembrano disseminati un po’ a casaccio e le parti dialogate gridano fondamentalmente vendetta (quanto c’entrerà l’adattamento italiano?), l’unico che ne esce davvero bene è il protagonista, Ben Foster, attore fino a oggi in ombra nonostante l’eclettismo delle sue scelte (Liberty Heights, X-Men – Conflitto finale, Alpha Dog, Quel treno per Yuma, Oltre le regole).

Il suo impegno, sebbene sprecato, è sincero.

Max Marmotta