
Prendimi l’anima
- Roberto Faenza
- Caroline Ducey, Craig Ferguson, Emilia Fox, Iain Glen
- Drammatico, Sentimentale
- Francia, Italia, Regno Unito
- 17 January 2003
Trama
Biografia della dottoressa Sabina Spielrein, psichiatra infantile di origine ebrea messa a tacere dal regime stalinista.
Proveniente da Rostov, nella Russia zarista, viene ricoverata per una grave forma di isteria a Zurigo.
Il suo medico curante è il giovane Carl Gustav Jung il quale, applicando le nuove teorie del maestro Freud, riesce a guarirla nel giro di un anno, lasciandosi però coinvolgere in una rischiosa relazione sentimentale.
Jung dovrà infatti troncarla, per salvare il proprio matrimonio, senza lasciare altra scelta a Sabina se non trasferirsi a Mosca.
In patria la donna inaugura una moderna struttura, detta l’Asilo Bianco, che ospita bambini educati con metodi all’avanguardia.
Ma verrà irrimediabilmente chiusa alla morte di Lenin e dimenticata al pari della sua ideatrice, uccisa nella città natale durante un rastrellamento nazista.
Recensione
Decisamente la migliore prova di Roberto Faenza (Jona che visse nella balena, Sostiene Pereira, L’amante perduto), incentrata su una donna simbolo delle pulsioni libertarie dei primi del ‘900, prima condannata all’oblio e poi oggetto di studio a partire dal 1977.
Prendendo spunto dal carteggio segreto rinvenuto a Ginevra, che raccoglie la corrispondenza tra Jung, Freud e la Spielrein nonché frammenti del diario di quest’ultima, il regista sfrutta due figure immaginarie dei giorni nostri (lo storico gallese Craig Ferguson e la presunta discendente della dottoressa Caroline Ducey) per trascurare volutamente la patologia della protagonista e porne in rilievo gli aspetti più umani e passionali, che la trasformarono nel primo caso di transfert della storia della psicoanalisi.
Una scelta felice nel delineare la relazione medico-paziente. Specie quando il volto della splendida Emilia Fox (Sabina) trasmette efficacemente purezza e sincerità (Spielrein in tedesco significa “gioco pulito”) trovando in risposta soltanto la paradossale incapacità di superare le convenzioni del fragile rivoluzionario Jung (un misurato Iain Glen).
Ma nel momento in cui la vicenda assume connotati epistolari allora il regista mostra i tutti suoi limiti narrativi, votandosi ancora una volta a uno stile televisivo fastidiosamente retorico che svaluta la maggior parte degli spunti positivi.