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Recensione

Ogni tanto, a dispetto del chiasso mediatico che favorisce in partenza titoli risaputi, può essere opportuno rivolgere la nostra attenzione verso opere “diseredate”, distribuite senza convinzione e con supporti pubblicitari inesistenti, indipendentemente dai pregi o dai nomi in cartellone, a volte importanti.

Ne è un esempio valido Reservation Road, diretto da Terry George, sceneggiatore (Nel nome del padre) e regista (Una scelta d’amore, Hotel Rwanda) con particolare vocazione per il dramma, meglio se riferito alla storia contemporanea.

Stavolta lo spunto glielo fornisce il co-autore del copione, John Burnham Schwartz, che ha anche scritto il romanzo dal quale il film è tratto.

La trama appartiene alle tristi cronache quotidiane: l’investimento mortale di un bambino e il dileguamento dell’autista responsabile della tragica fatalità, sconvolto e terrorizzato dall’idea di perdere quel poco che ha, ovvero un figlio che riesce a vedere raramente (è separato dalla moglie).

Se il padre della vittima, Ethan, all’inizio sostiene la moglie Grace, annientata dal dolore, l’involontario omicida Dwight, un avvocato che viene, ironia della sorte, consultato dalla parte lesa, si strugge nel rimorso e non trova il coraggio necessario per consegnarsi alle autorità.

Frattanto, Grace raggiunge un equilibrio, ma quello di Ethan, ormai quasi dipendente da un forum via Internet formato da persone che hanno vissuto la stessa tremenda esperienza non ottenendo giustizia, comincia a vacillare seriamente.

L’impianto è tra i più classici, ma il cast fa la differenza. Inoltre, affiorano moniti indiretti alle derive del web, e ci si affida a un finale talmente cupo e rigoroso da risultare paradossalmente ottimista.

La morale c’entra relativamente, c’è piuttosto un neutrale tentativo di scavo psicologico su entrambi i fronti, alquanto efficace.

Max Marmotta