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Recensione

L’inglese John Madden è uno di quei registi che scelgono bene i soggetti, ma poi li sviluppano stentatamente.

Infatti, con le possibili eccezioni di Ethan Frome, suo primo lavoro per il cinema, e dell’elegante La mia regina, comunque dimenticati, il cineasta – al netto dell’esagerato successo di Shakespeare in Love – ha dei problemi nelle rifiniture, nell’arginamento delle sbavature, nell’armonizzazione delle atmosfere.

Marigold Hotel, quattro anni fa, a sorpresa si difese abbastanza al botteghino, e il suo merito principale era evidentemente un infallibile cast di vecchie glorie.

Dunque, da un seguito non si poteva prescindere, così riecco Maggie Smith, Judi Dench (la loro ammirevole bravura non si discute) e il resto della matura combriccola ancora all’interno del singolare resort indiano balsamico per l’umore dei non più giovanissimi ospiti.

Adesso il comproprietario della fortunata struttura (Dev Patel, il cui verboso carattere, in procinto di sposare la bella fidanzata Tina Desai, cresce in insopportabilità) vorrebbe acquisire un altro edificio per espandersi ed è in cerca di fondi.

Un potenziale finanziatore (basta un paio di scene a David Strathairn per distinguersi) invierà un “controllore” in incognito a saggiare il livello dei servizi offerti.

Che sia il piacione Richard Gere (chiaramente fuori posto)? Quando gli spunti sono limitati (un esempio per tutti: il timore di Ronald Pickup di avere involontariamente convinto un tassista a eliminare sua moglie Diana Hardcastle), la sostanza non può che essere esigua.

Max Marmotta