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Recensione

Phillip Noyce è un solido mestierante che ha alle spalle prove di indiscutibile valore (Ore 10: calma piatta, La generazione rubata), lavori su ordinazione ben realizzati ma perlopiù impersonali (Giochi di potere, The Quiet American), nonché film seriamente irrisolti (Sliver, Il santo).

Con Salt, scritto da Kurt Wimmer (il che, di per sé, non è una buona notizia), tenta di rilanciare le sue quotazioni, per ora alquanto in ombra.

Gli riesce in parte, poiché le tonitruanti scene d’azione sono tutt’altro che disprezzabili (in particolare, quella della fuga dell’appiedata eroina fra ponti e sopraelevate, quasi degna del più specializzato Friedkin), però i nessi fra i tortuosi sviluppi della trama, che certo gioca a sorprendere, magari azzeccandoci qua e là, talvolta – per non dire spesso – peccano di incoerenza, tralasciando il fatto che sono sopra le righe: in generale, nulla di male (il cinema deve aspirare all’esagerazione), tranne quando a farne le spese è la credibilità della vicenda.

Che, tanto per entrare nel vivo, riguarda un’abile agente della CIA (la Jolie, grintosa più che mai) alle prese con l’improvviso eppur fondato sospetto del controspionaggio e dei colleghi di essere un’infiltrata russa.

L’amore per il marito (Diehl), aracnologo tedesco, si rivelerà, dal punto di vista narrativo, il bandolo della matassa.

Per intanto, la nostra può solo correre e organizzarsi. Pensata per un protagonista maschile, leggi Tom Cruise, quindi riadattata per una signora (questo invece è il segno positivo del superamento, speriamo definitivo, delle tendenze sessiste di Hollywood), la pellicola si avventura in un appropriato territorio fantapolitico (ai più attenti non sfuggirà l’ambientazione nell’imminente futuro), commettendo tuttavia la colpevole leggerezza di rievocare la solita, ossessiva Guerra Fredda.

Max Marmotta