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Recensione

L’episodio finale della terza trilogia di Star Wars (connotata, in generale, da un’ironia più fluida), successivo al contestato ottavo di Rian Johnson (che però aveva capito come spiazzare le platee) e segnato dal rientro del più disciplinato Abrams (al posto del prescelto Colin Trevorrow – rimasto fra i soggettisti – “marchiato” dal flop commerciale de Il libro di Henry) nonché dalla triste dipartita di Carrie Fisher, ugualmente in testa ai credits grazie al ripescaggio di materiale non montato da Il risveglio della Forza, è un film di fantasmi.

Oltre a quello “extradiegetico” di Leia (probabilmente toccava a lei essere la guest star del gran finale, il che, con il cambio di regista, avrà causato non poche revisioni dello script), ci sono Luke (Mark Hamill), congedatosi da eroe la volta prima, Han (Harrison Ford in cameo non accreditato) e il redivivo, cattivissimo imperatore Palpatine (Ian McDiarmid), temibile nemico che i giovani alleati della Resistenza devono sconfiggere.

E poi, in mezzo ad alcune gradevoli new entries (la combattiva Jannah di Naomi Ackie, il perfido generale Pryde di Richard E.

Grant), torna il mitico Lando Calrissian incarnato da Billy Dee Williams, da un passato glorioso e irripetibile.

Sì, perché il vero problema della nuova saga resta l’aspirazione a fasti tramontati, malgrado l’astuto impiego dei vecchi attori e un’epica programmata che rende comunque lo spettacolo innegabilmente godibile.

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Max Marmotta