Video & Photo

1 videos

Recensione

Attingendo a piene mani dal suo ormai riconoscibilissimo e apprezzato universo gotico, e in particolare da Edward mani di forbice, del quale Sweeney Todd sembra quasi una cruenta appendice, pensando, come sempre del resto, alle strutture fiabesche, guardando senz’altro alle tragedie classiche (più che greche, shakespeariane, vedi Titus Andronicus), Tim Burton ha realizzato la sua nuova creatura, derivante da un musical di Broadway di Stephen Sondheim e Hugh Wheeler, adattato per il palcoscenico da Christopher Bond, con la giusta cattiveria, ingorgando lo schermo di sangue il cui colore acceso contrasta di proposito i toni smorti e lugubri di una Londra tardo-ottocentesca, nella quale l’infelice protagonista Benjamin Barker (poi mutatosi nello spietato vendicatore Todd), un tranquillo barbiere, subisce l’infame torto di essere imprigionato da un crudele giudice che ne insidia poi la moglie e ne cattura la figlia neonata.

Le molte canzoni (che in un contesto così magistralmente inquadrato invoglieranno forse i denigratori del genere a vedere altri film musicali) rappresentano cinicamente un’umanità alla deriva, all’interno della quale il disperato Ben/Sweeney, rasoi ben affilati alla mano, si lascia guidare, non esattamente senza responsabilità, dalla sfrontata cupidigia di Mrs. Lovett, innamorata di lui, che lo aiuta a rimettersi in attività e a riavviare la propria povera e lurida rosticceria, disertata dai cittadini.

Un’opera che dissemina, pare apposta, alcune leggere imperfezioni nella psicologia dei personaggi e fra gli eventi che essi attraversano per stordirle a mo’ di sfida (vediamo chi le individua) in mezzo a un montaggio e a un climax emotivo che, lungi dal frastornare, rapiscono lo spettatore sino alla commozione conclusiva, con l’inevitabile fio pagato e splendidamente reso dall’ultima immagine.

Max Marmotta