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Trama

Roma, Ottocento. Mentre si consuma il dramma di Floria Tosca, che si strugge per la sorte dell’amato pittore Mario Cavaradossi e per le angherie del capo della polizia Scarpia, che la insidia e accusa lui di avere appoggiato un fuggiasco, avviene l’incontro tra due signore molto diverse.

L’una, Emilia, è la portinaia di Palazzo Farnese, sposata al secondino Nando; l’altra, Iride, lombarda, è un’ex-attrice, moglie dello sgherro di Scarpia, Sciarrone, e attende nell’atrio che quest’ultimo termini il suo lavoro di torturatore.

Il confronto tra insofferente sudditanza e vacua agiatezza è sin da subito stridente. Emilia quasi non ascolta, o irride, le fluviali chiacchiere dell’altra, ma entrambe mostrano particolare curiosità per il dramma sentimentale che è in corso a Castel Sant’Angelo.

Recensione

L’impianto teatrale c’è e si vede, anche se sul palcoscenico le bravissime Valeri (un gradito ritorno sugli schermi dopo molti anni) e Asti erano completamente sole e qui sono circondate da personaggi veri (non più solo raccontati), che alleggeriscono l’allestimento (funzionale il cast, a cominciare dal “prologo” Carlo Cecchi).

Inframmezzata da brani lirici della “Tosca” (la quale è interpretata da un’autentica cantante, Maria Pia Ionata, al pari di Cavaradossi/Safina e Scarpia/Ariostini), la vicenda di queste due “osservatrici involontarie” sta all’opera pucciniana, per la quale la pièce è un affettuoso omaggio, un po’ come Rosencrantz e Guildenstern sono morti (di Tom Stoppard) sta ad Amleto (con i dovuti distinguo produttivi).

Il motivo ricorrente è il contrasto: tra l’ottica romana e quella milanese (anche di oggi, a rigore), tra i piani “bassi” e quelli “alti”, tra gli annoiati motti di spirito di Emilia e le mosse civettuole di Iride.

Le scenografie ideate dal compianto Danilo Donati (e attuate da Massimo Sabatini) riproducono fedelmente la Roma che fu.

Tuttavia, nell’ambito di un’operazione che ha diverse caratteristiche apprezzabili, le note dolenti non sono trascurabili: un montaggio non sempre professionale (e sì che se n’è occupato Massimo Quaglia) e soprattutto una regia che stufa abbastanza presto.

Ed è un peccato.

Max Marmotta