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Trama

Venezia, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Annoiata dal marito Carlo, molto più anziano di lei, la quarantenne benestante Livia cade fra le braccia del giovane tenente tedesco Helmut Schultz, arrogante, donnaiolo e amante del gioco.

I loro incontri appassionati avvengono clandestinamente, tra partigiani che imperversano e traffici illeciti (anche Helmut smercia morfina), seriosi discorsi politici sugli imminenti cambiamenti e conseguenti voltagabbana.

Ma quando l’ufficiale delle SS, avverso alla guerra, si indebita troppo… .

Recensione

La pubblicità del nuovo film di Brass (in un cameo da regista), che all’inizio doveva chiamarsi Angelo nero, sottolinea le analogie con due suoi precedenti di successo, Salon Kitty e La chiave, effettivamente collocati durante il nazifascismo (e anche il secondo segnava il debutto “osé” di una diva).

Sterile sarebbe rintracciare analogie con il precedente adattamento omonimo del racconto di Boito, diretto da Visconti (1953); basti sapere che là veniva rispettata l’ambientazione asburgica.

Naturalmente, nonostante le concrete possibilità offerte dalla matrice letteraria e dalla rilettura storica (che originano una trama dall’ossatura potenzialmente più solida), dall’incipit teatrale e dall’alternanza narrativa colore/bianco e nero, l’autore-montatore preferisce perdersi, come sempre, fra le sue ossessioni erotiche, che, per chi non lo sapesse, non vanno oltre le inquadrature di giarrettiere e posteriori femminili.

Ma il fattore più scandaloso, in una pellicola che si avvale delle musiche di Ennio Morricone, che “vanta” la partecipazione (in futili sequenze orgiastiche) di Madame X, Roberto Malone e di altri pornodivi e che ha ricevuto degli inspiegabili finanziamenti statali, è la citazione (?) di Roma città aperta (girato nell’anno del titolo): provocazioni a parte, come si può mortificare una scena drammatica concentrandosi sulle cosce di una madre uccisa? .

Max Marmotta