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Recensione

Con il ritiro poco prima del match decisivo con Billy “The Kid” McDonnen (ne avevano vinto uno ciascuno), il pugile Henry “Razor” Sharp compromise due carriere, la sua e quella dell’avversario.

Ovvio che costui lo odi, ma vien fuori che i motivi sono reciproci. Perciò organizzare a distanza di 30 anni un match tra loro, che ormai hanno appeso i guantoni al chiodo (diventando l’uno concessionario d’auto, l’altro operaio) e che ogni volta che si incrociano non possono evitare di darsele di santa ragione (finendo ripetutamente su YouTube), pare un’idea proficua.

Peter Segal, regista mai come in questo caso su commissione, dirige il consuetamente legnoso Stallone (che però, al di là dei risultati di botteghino, gode presso il pubblico di affetti anticamente radicati) e De Niro in modalità “sopra le righe” in un film disomogeneo, nel quale alla spenta prima parte corrisponde una seconda che, fatto salvo il finale che dà definitivamente una forma “alla Sly”, può contare su un più interessante dipanamento della trama (ancorché da soap opera, ma non si può avere tutto), su un relativo approfondimento dei caratteri e, soprattutto, sull’atteso incontro di boxe fra i protagonisti (di Rocky e Toro Scatenato, vogliamo ricordare), ripreso in maniera quantomeno degna.

La petulanza del procuratore Kevin Hart è compensata, per fortuna, dalla sornioneria dell’impareggiabile allenatore Alan Arkin e dall’immutata avvenenza della Basinger.

In “omaggio”, una meta-scena sulla tecnica del perfoming capture e uno scherzo tra Tyson e Holyfield.

Max Marmotta