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Recensione

Primo lavoro per il cinema dei gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio, fattisi “seriamente” notare grazie ai loro corti, improntato su un grande rigore dal quale trapela limpidamente un invidiabile professionismo e la letteralmente scandita capacità di trasmettere i propri intenti.

Che, in questo caso, sono costituiti dalla rappresentazione quasi muta dell’insolito rapporto umano instauratosi tra un losco vecchio morente (l’esemplare Roberto Herlitzka) e l’inarrestabile immigrata clandestina moldava (Olimpia Melinte), abitante in una spettrale baraccopoli, che da principio lo sequestra.

Presto i due capiscono, senza comunicazioni esplicite, che hanno bisogno l’uno dell’altra; i loro reciproci disegni e ruoli non sono subito chiari, ma la loro vicenda intrecciata è un modo per fotografare un avvenuto, irrecuperabile degrado.

La particolarità di questo spietato e universalmente elogiato film (purtroppo snobbato dal pubblico) sta nell’essere incapsulato, fin dal titolo, in una fuorviante aura religiosa, che assume forme grottesche, paradossali, ma soprattutto potentemente drammatiche.

Così i registi riescono a farci inalare un’aria ospedaliera mescolata al tanfo di alcuni ambienti e, in una parola, a scuoterci.

Max Marmotta