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Trama

Subito dopo gli esami di maturità, gli amici Matteo, Manuel e Paolo rinunciano al classico viaggio in treno in favore di una vacanza a Santorini.

In realtà il primo, figlio di genitori separati e ignaro di essere in cima ai pensieri di un’altra compagna di scuola, Valentina, all’insaputa degli altri sta rincorrendo Carmen, ragazza di qualche anno più grande con la quale ha un’instabile storia e di cui è perdutametne innamorato.

Costei, che è al seguito della sorella maggiore, è peraltro interessata al danaroso Sandro. Dal canto suo, il ribelle Manuel brama una vita diversa di quella toccata in sorte al padre defunto, proprietario di un negozio di animali, mentre il timido Paolo (che presto si meriterà il soprannome di Pio) desidera raggiungere una propria sicurezza, diversa da quella che possono garantirgli i genitori abbienti e pressanti.

Già sulla nave il gruppetto conosce le disinibite Bea e Monica, che più in là gli proporranno un ulteriore spostamento in Turchia.

Recensione

A parte che non risulta del tutto credibile organizzare ed attuare il cosiddetto viaggio della maturità prima di conoscere i risultati degli esami, il nuovo lavoro di Giovanni Veronesi, provvisto di coraggio sperimentale (Silenzio si nasce) ma anche di indifendibile pigrizia narrativa (Il barbiere di Rio, Il mio West, Streghe verso nord), ha qualche motivo di interesse.

Anzitutto, perché affronta temi giovanili cercando di aggirare le banalità, poi perché è frutto della collaborazione, in sede di scrittura, tra il regista, che ha ritrovato il minimo indispensabile di consistenza narrativa, e il protagonista Silvio Muccino, già prezioso consulente del fratello Gabriele in Come te nessuno mai.

Anzi, Che ne sarà di noi sembra proprio la prosecuzione di quella pellicola, con pesantissimi debiti pure nei confronti di Ferie d’agosto, Ora o mai più, Liberi (dando un’occhiata al cast, ci sono parecchi interpreti ereditati da questi film), con l’aggiunta della Grecia “generazionale” di Dillo con parole mie e inevitabilli punti di contatto (la fuga, principalmente) con il primo Salvatores.

In sintesi, un pot-pourri sviluppato sull’asse Muccino-Virzì con infinite diramazioni e similitudini, il che fa scadere violentemente qualsiasi ipotesi di originalità dell’opera; sebbene i simboli dello strapiombo e del cane siano molto comunicativi.

Può piacere ai liceali, specie se maturandi, ma il gradimento dipende anche dalla disposizione alla visione.

Davvero bravo Elio Germano (Manuel), mentre Giuseppe Sanfelice e Pino Quartullo (Paolo e suo padre) sono assai credibili, per somiglianza, come consanguinei.

Musiche di Andrea Guerra, con una title-track intonata da Gianluca Grignani.

Max Marmotta