Video & Photo

1 videos

Trama

Durante il ricevimento per un battesimo, qualcuno “soffia” l’auto del remissivo Vito Quaranta, un impiegato barese sposato con Anna.

Il fratello di quest’ultima, ovvero il traffichino Toni Catapano, assicuratore marito di Chicca e padre del neonato festeggiato, malgrado la poca simpatia nei confronti del cognato, nondimeno offeso per non essere stato proposto come padrino e neppure come sostituto (visto che il prescelto Nicola non si è presentato), si attiva immediatamente: si informa con gli amici e va in giro con il derubato a bordo della sua fiammante decappottabile.

I due non trovano aiuto concreto né in Cilluzzo, né in Sandokan o Saddam, né in nessun altro dei figuri interpellati.

Quello che sembra certo, però, come ribadisce Mariuccio Testa, è che tale Marlonbrando ce l’ha con Toni… .

Recensione

Doveva chiamarsi in un primo tempo Vito, morte e miracoli il secondo film di Alessandro Piva, autore del fortunato LaCapaGira, girato con pochi soldi nel ’99 e trasformatosi in un piccolo caso nel giro di qualche mese.

Il regista, sempre coadiuvato dal fratello Andrea, stavolta disponeva del congruo budget messo a disposizione da Giovanni Veronesi e da Rai Cinema, nonché di due dei migliori nomi del panorama italiano attuale.

I difetti, fatte le dovute proporzioni (qui c’è comunque più struttura), sono gli stessi dell’esordio: una certa frammentarietà nella narrazione, situazioni comiche legate più al verbo (non sottotitolato, stavolta) che al copione, qualche nesso mancante (la scena al faro, dove appare lo stesso Piva, non si inserisce bene nella trama).

Proprio grazie all’inedita e funzionale accoppiata d’attori (sulla quale puntano molto i fulminei spot in circolazione), che rimanda intenzionalmente a Gassman-Trintignant de Il sorpasso, si può soprassedere su parecchie imperfezioni, compreso il sottostimato tormentone dei limoni (cioè la “firma” delle malefatte): Rubini fa la canaglia ammanicata con tutti, Lo Cascio, che gioca su nuove corde e canta una canzone sui titoli di coda, è uno spaesato perfetto, visto come un alieno da ogni mezzo delinquente dialettale.

Comunque, il giudizio sulla pellicola migliora qualche ora dopo la visione. Principalmente, ci si rende conto dell’atto d’amore nei confronti della splendida e vituperata Bari, ammirata non solo nelle riprese dall’alto ma anche nelle sequenze che si addentrano nella mal frequentata città vecchia.

Max Marmotta