
L’ultimo samurai
- Edward Zwick
- Billy Connolly, Ken Watanabe, Tom Cruise, William Atherton
- Azione, Drammatico, Guerra, Storico
- Giappone, Nuova Zelanda, Stati Uniti
- 9 January 2003
Trama
San Francisco 1876. Il capitano Nathan Algren, ex-eroe di guerra alcolizzato, un tempo agli ordini del generale Custer, mentre è impegnato a girare il Paese come testimonial del moderno fucile Winchester, riceve una proposta di lavoro dall’imperatore del Giappone.
In cambio di cinquecento dollari al mese, l’ufficiale dovrà addestrare il piccolo esercito nipponico per debellare i samurai rivoltosi capeggiati da Katsumoto.
I grossi interessi in ballo, da parte del ministro-uomo d’affari Omura, che tiene in pugno il giovane monarca, e da parte degli imprenditori e militari americani, i quali sperano di piazzare una grossa vendita d’armi, impongono ad Algren di guidare un attacco, a suo avviso, prematuro.
I soldati sono difatti messi in fuga e lo stratega ferito e catturato. Confinato nel villaggio del figlio di Katsumoto, Nathan viene curato, sfugge al vizio di bere e comincia poco a poco a capire e rispettare il nemico.
Recensione
Con la speranza di conquistare al più presto il primo Oscar, il divo Cruise (Algren) si cimenta in un kolossal partecipando anche in veste di produttore.
Già accolto tiepidamente in America, L’ultimo samurai è in effetti una pellicola poco originale che sfiora appena la sufficienza.
E non poteva essere altrimenti quando alla regia c’è Edward Zwick, autore di pomposi minestroni politically correct come Il coraggio della verità, Vento di passioni e Attacco al potere.
Lo spettatore si trova così davanti a un’opera dalla doppia anima, la cui trama ricalca in pieno Balla coi lupi.
A una prima parte dove si crea un efficace paragone tra i samurai e i pellerossa, le cui tradizioni rischiano l’estinzione in nome di un progresso onnivoro, segue infatti una sezione centrale che ricicla fedelmente con nauseante stile accademico tutti i cliché già sfruttati da Costner.
L’affascinate protagonista, pur calandosi perfettamente nel personaggio e regalandoci delle discrete sequenze di combattimento (la migliore è quella nei boschi, una delle ultime è commentata da un inspiegabile quanto inutile replay al ralenti), non rinuncia ai momenti sopra le righe e si lega a doppio filo alla matassa retorica del film.
Scelta della magniloquente direzione o dell’attore-finanziatore? O peggio: iniziativa presa di comune accordo? È comunque un fatto che soltanto quando Ken Watanabe (Katsumoto) è in scena il progetto vive i suoi momenti più felici.