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Recensione

Parsimonioso nelle regie (Libero Burro è del 1999, Non ti muovere del 2004), Sergio Castellitto quando si decide preferisce mettersi nelle sapienti mani di sua moglie Margaret Mazzantini, autrice di soggetto e sceneggiatura.

Per questo pessimistico bilancio generazionale – a essere presi principalmente di mira sono i cinquantenni – si affida a un difficile tono grottesco, gestito con discreta saldezza ma corroborato, come è giusto rimarcare, da un cast di aderenti caratteristi, fra i quali militano pure Lidia Vitale ed Erica Blanc.

Di base, si parla della crisi innescata in una fintamente inappuntabile famiglia borghese (lui architetto, lei psichiatra) dall’introduzione dell’alquanto attempato neo-fidanzato (il sornione Jannacci) della ribelle figliola sedicenne (Nina Torresi, che farà strada), durante quella che doveva essere un’allegra riunione fra amici in un casolare di campagna.

Preparati – almeno così credono – dal loro passato fatto di lotte a qualsiasi scossone relativo alla crescita della loro non-più-bambina, abilissimi, nella loro supposta e schermante modernità, nell’evitare traumatici conflitti nei suoi riguardi, sostanzialmente confusi dal mondo che li circonda e che, inconsapevolmente, li ha resi placidamente peggiori dei mali che combattevano in gioventù, i genitori, con il loro disastrato e non meno disorientato seguito, vedono crollare ogni finta certezza di fronte a ciò che reputano inspiegabile e che è in grado di riportare alla luce montagne di problemi.

Ogni singolo ruolo, anche se minore, rappresenta, con schematismo estremo, un pezzo di società malata, dal medico donnaiolo alla giornalista inacidita, dall’anziana inascoltata all’immigrato noncurante, tutti al cospetto di quell’onnipresente, pesantemente simbolico (e necessario) somaro evocato sin dalle prime battute e dal titolo.

Max Marmotta