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Recensione

Dopo l’esito indeciso del pur promettente Figli delle stelle, appena qualche mese fa, Lucio Pellegrini riaffronta con successo il botteghino (sopraffacendo perfino il pregiato vincitore di due Oscar The Fighter del lodevolmente spiazzante David O. Russell) con una commedia venata di amarezza e soprattutto di cinismo degna, senza osare paragoni impropri ma nemmeno esagerando, della migliore tradizione nostrana degli anni ’60 (ne è spia l’ambizioso titolo), avvalendosi – non è secondario – di tre attori in forma strepitosa, piovuti direttamente da Baciami ancora: lo sfaccettato Favino, già nel precedente lungometraggio del regista, il petulante Accorsi, che anima un personaggio credibilmente combattuto (e l’accesa discussione tra i due è un calcolato pezzo di bravura), e la dolce Puccini, che impenna con coraggio verso un’ambiguità non scontata.

In effetti, l’insieme fa sorridere e riflettere con spontaneità, e non teme di mostrare le derive e le bassezze di cui sono capaci i personaggi, conducendo lo spettatore verso un’interdetta empatia.

Nella trama ci imbattiamo in Mario, medico con qualche (grosso) guaio da lasciare alle spalle, che ripara con poca convinzione in Kenya, dove si è già ambientato – nei limiti del possibile – l’amico e collega Luca, partito molto tempo addietro e riuscito nell’intento tutt’altro che semplice di fondare un ospedale, precario eppure funzionante grazie alla buona volontà di chi vi presta servizio.

L’incontro risulta più evocativo di qualcosa di non detto che affettuoso, e il segreto è destinato a deflagrare con l’arrivo della moglie del primo (nonché “simpatizzante” del secondo), Ginevra, preoccupata per l’aria che tira dalle sue parti, decisa a vederci chiaro ma anche, in qualche modo, a cambiare orizzonte.

Nessuno è limpido, dunque, e il film vale.

Max Marmotta