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Trama

Perché gli Stati Uniti sono nel mirino dei terroristi? Il documentario cerca di spiegarlo innanzitutto suscitando dubbi sulla legittimità dell’elezione di George W. Bush, nonché sulle sue qualità politiche e umane. Così il regista Michael Moore riporta la storia di Bush jr. imprenditore, prima a capo della fallimentare Arbusto e poi membro del consiglio di amministrazione del Carlyle Group, l’azienda americana nella quale la famiglia Bin Laden ha investito miliardi.

Si scopre quindi che dietro la tragedia dell’11settembre ci sono interessi economici acquisiti da decenni, un po’ a tutti i livelli della scala gerarchica, e che, per mantenerli, è necessario sfruttare la paura di una nazione sbigottita e ricorrere ai suoi giovani figli per rimpinguare il fronte della “guerra preventiva”.

Recensione

Un film possente; sicuramente uno dei migliori della storia. E anche se ci spiace ripeterci, si rimane ancora una volta impressionati dalla quantità di dati raccolti da Michael Moore, il quale, partendo da un’ipotesi concreta (l’irregolare elezione di W.), analizza la successiva tragedia dell’11 settembre (raccontata senza immagini, ma solo con il sonoro) andando oltre la notizia e scavando sempre più a fondo fino alle fatali conseguenze, che provano una tortura ormai millenaria –definibile: Sistema– esercitata dai più ricchi e forti sui più poveri e deboli tramite un controllo dell’informazione basato sulla cultura della paura.

Certo, almeno per tutta la prima metà, si tratta di un’opera satirica caustica, capace di strappare risate da situazioni grottesche, incluso il ritratto caricaturale di un presidente-fantoccio-figlio di papà, sottoposto persino a un fotomontaggio in stile “Striscia la notizia”.

Ma la seconda parte risveglia l’umanità e il raziocinio di ogni spettatore contro lo strapotere dei governi; ed è inevitabile riflettere quando il soldato Henderson preferisce rischiare la galera piuttosto che tornare in Iraq ad uccidere innocenti, o i reduci testimoniano la totale indifferenza dello Stato.

E l’ironia e il dramma si sovrappongono continuamente non appena l’indagine di Moore conduce, ancora una volta, al suo punto di partenza: la cittadina natale di Flint nel Michigan, dove vive la signora Lila Lipscomb, la quale, dopo la morte in combattimento del figlio (già critico verso l’amministrazione Bush), urla inascoltata il suo dolore contro chi ha tradito i valori tramandati per un’intera vita.

Come ha già detto Tarantino, presidente della giuria del 57° festival di Cannes, è soprattutto grande cinema o, se volete, una forma di moderna maieutica.

E fa sorridere il fatto che sia stata proprio la famiglia Bush a creare indirettamente il “fenomeno Moore”, dato che nel 1987 fu il cugino di George W., il regista Kevin Rafferty, a dare all’esordiente Mike consigli preziosissimi su come si realizza un documentario.

Sax Marmotta