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Trama

Undici registi provenienti rispettivamente da Iran, Francia, Egitto, Bosnia-Erzegovina, Burkina Faso, Regno Unito, Messico, Israele, India, Stati Uniti e Giappone per altrettanti corti (ciascuno dura simbolicamente 11 minuti, 9 secondi e 1 fotogramma) che forniscono differenti visioni degli attentati dell’11 settembre 2001.

Tracce: una maestra spiega l’accaduto a piccoli profughi afgani; la rottura tra una sordomuta e il fidanzato; un cineasta incontra un soldato morto 18 anni prima; i ragazzi di un villaggio africano vogliono catturare Bin Laden; un rifugiato cileno evoca il colpo di stato del 1973; un montaggio di immagini e suoni dei crolli; un’autobomba esplode a Gerusalemme; un immigrato scomparso è sospettato di essere un terrorista; un vedovo agisce come se la moglie ci fosse ancora; un reduce giapponese della II Guerra Mondiale si comporta e si muove da serpe.

Recensione

Ce ne sarebbe da scrivere. Pur toccando picchi diversi, tutti gli episodi, incredibilmente complementari, sono validi, anche quello sperimentale e apparentemente avulso di González Iñárritu, o quello di Chahine, troppo ricco di argomenti ma che richiama l’attenzione sui doveri dell’artista e sul punto di vista del terrorismo; conta la durezza con cui gli autori, scagionando gli innocenti, richiamano le colpe oggettive degli USA (cagione di polemiche), riportando di botto il cinema al rango dimenticato di veicolo di comunicazione.

I più emozionanti rimangono il coraggioso Loach e il poetico Lelouch, che puntano alla tragedia collettiva e individuale (lo stesso fa la Nair, che, non rinunciando ad autocitarsi, si basa su un fatto vero).

Tanovic esalta la perseveranza, la Makhmalbaf la purezza, lo schematico Ouedraogo la leggerezza. Imamura e Penn (inarrivabile il suo Borgnine) si affidano ad impressionanti allegorie, mentre Gitaï sfrutta la sua maestria nel piano-sequenza.

Max Marmotta