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Recensione

E tre.

Dopo i buoni incassi (perfino da noi) dei primi due capitoli, diretti rispettivamente da Nicolas Vanier e Christian Duguay, ecco la terza avventura post-bellica (il titolo originale promette che è l’ultima, ma chissà…) nel villaggio alpino di Saint-Martin dell’intraprendente trovatello con le fattezze di Bossuet – benché nella “puntata” precedente avesse trovato suo padre (Neuvic)e della sua cagnona di razza patou.

Un pedigree pregiato, dato che si rifà vivo l’impietoso ex-padrone dell’animale (un perfetto Cornillac, anche regista del film), reclamando diritti pure sui tre potenzialmente redditizi cuccioli che hanno rallegrato la famiglia (formata inoltre dal nonno putativo Karyo e dall’annunciata neo-sposa del genitore, Châtelier).

L’inerte gradimento – al di là degli stupendi esterni nevosi – è garantito dallo zoccolo duro dei fedelissimi della serie, quindi i bambini che amano il franchise dal 2013 nonché i più attempati fans (sovente accompagnatori in incognito dei pargoli) dei racconti di Cécile Aubry già all’origine di uno sceneggiato e di un popolare cartone animato (che hanno a loro volta un folto seguito).

Oltre al salvataggio nella bufera e alla scena sul ghiaccio sottile, la trama – che presuppone comunque l’accettazione di evoluzioni fin troppo ottimistiche non vanta particolari impennate; anzi, indugia su qualche risvolto posticcio (il vecchio pastore infatuato? Suvvia!).

Però siamo nella norma.

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Max Marmotta