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Recensione

Dopo aver diretto i pregevoli Gloria (del quale ha appena girato un remake americano) e Una donna fantastica, il cileno Lelio realizza il primo lavoro in inglese, basato sull’omonimo romanzo di Naomi Alderman.

Cosceneggiato da un’altra signora, Rebecca Lenkiewicz, il film conferma l’attenzione del cineasta verso i caratteri femminili tormentati da un soffocante ambiente circostante.

Grazie a un incipit sapientemente slegato dal resto che però serve a introdurre l’argomento principale (benché defilato) della pellicola, il dono del libero arbitrio, assistiamo all’inatteso ritorno a Londra nella comunità ebraica da cui era praticamente scappata della fotografa newyorkese d’adozione Ronit (Weisz, abile nel restituire un’orgogliosa sofferenza).

L’occasione è spiacevole: le esequie del padre rabbino (Lesser), perso di vista da anni. La donna ritrova l’amico Dovid (Nivola, misuratissimo), discepolo ideale del rispettato genitore defunto nel frattempo sposatosi con Esti (McAdams, adeguatamente remissiva).

Tra quest’ultima e la “rinnegata” si riaccende presto una passione che già destò scandalo. L’alchimia tra le due Rachel, una reduce dal lungometraggio eponimo, l’altra dal cinecomix Doctor Strange (e prossima alla commedia Game Night), genera una parentesi erotica non banale (e feconda).

Un percorso intelligente, fino alla fine. In Italia locandina in versione obbligatoriamente soft.

Cantonata del doppiaggio sull’eredità. .

Max Marmotta