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Recensione

Strano caso quello de Il caimano. Atteso con curiosità dal pubblico, temuto per i suoi contenuti dalla destra e per i conseguenti effetti controproducenti dalla sinistra, è uscito senza che trapelasse nulla di preciso sulla trama (ma il totale riserbo durante la lavorazione è una regola quasi monastica per il cineasta in questione).

Non gode di una particolare campagna pubblicitaria, eppure Nanni Moretti sta insolitamente facendo un tour mirato dei media per parlarne, promuoverlo, smitizzarlo anche.

Domandandosi polemicamente: può mai un lungometraggio, peraltro annunciato da prima che si fissasse la data delle consultazioni, influenzare l’elettorato? E al di là dei previsti strali anti-Berlusconi (per chi non lo sapesse il caimano è lui) su episodi storicamente assodati, dalla scalata al potere economico alla magra figura al parlamento europeo, in pochi hanno voglia di accorgersi delle altre componenti della pellicola: l’omaggio nostalgico al cinema di genere, i giocosi film nel film (l’ultimo, inquietante, invoca forse una ancor possibile reversibilità degli eventi), il mesto sguardo su una famiglia, quella del produttore Bruno (un Silvio Orlando dalle spalle larghe), avviata inevitabilmente alla disgregazione.

Si può di sicuro affermare che si tratta prevalentemente di sapide metafore, che figurano gli sfaceli dell’Italia e dell’italiano, tuttavia funzionano pure come elementi strutturali del tutto autonomi, a volte addirittura slegati ma non per questo meno rappresentativi; e qui sta il bello della sceneggiatura scritta dall’autore insieme a Heidrun Schleef e Federica Pontremoli.

Inoltre, tornando all’atto di indignazione vero e proprio (mai urlato, però), appare specialmente significativa la congrua partecipazione di tanti volti morettiani (Antonio Petrocelli, Dario Cantarelli) o meno, soprattutto fra i registi: Montaldo, Stuhr, De Maria, Sorrentino, Virzì, Mazzacurati, Grimaldi (Antonello), Garrone, D’Ascanio, oltre al critico Sanguineti, hanno voluto dare un contributo al civile segnale d’allarme dell’opera.

Probabilmente con un occhio ai tagli allo spettacolo inferti dal governo.

Max Marmotta