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Trama

“Fra tempo e natura” è una trasmissione televisiva di successo condotta dallo scontroso giornalista Filippo Fontana, un carrierista inviso ai colleghi e spietato con le donne.

Quasi per dispetto il suo capo lo manda alle Canarie, per realizzare un servizio su otto cicogne che hanno inspiegabilmente nidificato su un vulcano.

Filippo è accompagnato dal timido cameraman Enrico, mentre sul posto lo attende la risoluta biologa Rita.

Compiuto svogliatamente il proprio dovere, il cronista, appreso che è impossibile ripartire a causa di una tempesta, si ritira nell’albergo di Rosa, impaziente di andarsene.

Ma l’indomani si ripete incomprensibilmente la stessa giornata: è ancora il 13 agosto, bisogna filmare i volatili, c’è la burrasca… Incredulo, Filippo si addentra in un incubo che non sembra avere fine.

Recensione

Al posto della marmotta, simpaticamente citata nell’incipit, c’è la cicogna, anziché il 2 febbraio l’azione si (ri)svolge il 13 agosto, ma la sostanza non è molto cambiata: per la sua seconda prova dietro la macchina da presa (dopo il gradevole Se fossi in te, sempre con Fabio De Luigi), Giulio Manfredonia, già aiuto regista del suo protagonista Antonio Albanese (in un primo tempo doveva esserci Abatantuono) in Uomo d’acqua dolce e La fame e la sete, si misura con un’altra storia surreale, una if-comedy, la chiamerebbero gli americani, dagli illustri natali.

Sì, perché È già ieri, frutto di una co-produzione, è il remake dichiarato dello statunitense Ricomincio da capo (1993), di Harold Ramis con Bill Murray; caso più unico che raro, dato che di solito sono gli yankees ad acquistare vecchi soggetti europei.

Complimenti al produttore Riccardo Tozzi per il buon gusto (l’inarrivabile originale è una delle migliori commedie degli anni ’90), anche perché tutto sommato, il restyling in salsa nostrana non è affatto deprecabile.

Infatti, se si escludono la solita noncuranza per il fattore linguistico (nelle Canarie non si parla spagnolo?!) e qualche incongruenza del bravo Albanese (nelle interviste dichiara –e suona come un bonario paradosso rispetto al plot– che ama cambiare, allora perché non si esime dal mimare, saltuariamente, i suoi personaggi televisivi?), il percorso del carattere principale è opportunamente differenziato: non cambia progressivamente, ma è coerentemente soggetto a sbalzi umorali opposti, nella migliore tradizione italiana.

Un’operazione curiosa, apprezzabile non solo dagli ammiratori meno esigenti del primo nome in cartellone e da chi non ha visto (fatto possibile) o non ha presente (questo è già più difficile) la pellicola d’ispirazione, ma perfino, moderatamente, da chi la adora.

Max Marmotta