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Recensione

Scorrendo la filmografia del regista messicano Guillermo Del Toro è più facile riscontrare la qualità del suo lavoro: sia che si ritrovi in coproduzioni tra il suo Paese d’origine e la Spagna (all’origine delle sue pellicole più ispirate, La spina del diavolo e Il labirinto del fauno), sia che si metta al servizio di Hollywood (Mimic, Blade II – senz’altro il più interessante della trilogia – e il primo Hellboy), il nostro sa il fatto suo quanto a ritmo e invenzioni.

Magari poteva aspirare a qualcosa di più congruo del seguito delle avventure del diavolone rosso – enorme destro, modi spicci, corna smussate e eterno sigaro in bocca – al servizio (segreto) delle forze del bene (creato dal fumettista Mike Mignola e impersonato ancora una volta dall’idoneo e autoironico Ron Perlman), costantemente affiancato dalla “focosa” fidanzata Liz e dall’“acquoso” e saggio Abe, questa volta alle prese con le mire di un ambizioso principe di un mondo parallelo e fantastico deciso a risvegliare un possente e aureo esercito in letargo per vendicarsi con l’umanità del confino in cui era costretto da secoli con i suoi simili; ma, almeno, se non si può esattamente parlare di un tocco d’autore, neanche qui mancano professionalità e sequenze al fulmicotone (per esempio, quella improbabile eppur coinvolgente sull’insegna di un albergo, con tanto di bebè da proteggere).

Certo, il principale punto debole sta proprio nell’armata del titolo: questi giganteschi e nemmeno troppo pericolosi pseudo-robot chiamati a vivacizzare quella che dovrebbe essere la scena clou nel prefinale, altro non sono che prodotti della computer-grafica (e fin qui niente di male) dall’aspetto eccessivamente goffo e antiestetico, che tutti insieme non valgono nemmeno un’unghia del protagonista o del minaccioso troll da questi eliminato a metà film (forse era presto).

Max Marmotta