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Recensione

Dopo avere diretto Session 9, horror che riproponeva con classe il tema della follia citando Shining, il quarantenne regista americano Brad Anderson continua il suo viaggio nella psiche umana scegliendo un soggetto inflazionato nelle ultime stagioni.

Trevor Reznik (Christian Bale) non riesce più a dormire da un anno. Gli effetti si vedono sul fisico, sempre più scheletrico, e sull’umore, che peggiora di giorno in giorno.

E nonostante i frequenti appuntamenti con la prostituta Stevie (Jennifer Jason Leigh) o con la cameriera Marie (Aitana Sánchez-Gijón) gli donino un po’ di sollievo, il misterioso malessere di Trevor genera vari sospetti anche nei compagni di lavoro.

Dopo avere provocato un grave incidente al collega Miller (Michael Ironside), l’uomo viene pure minacciato.

Ma l’allucinato insonne, divorato dai sensi di colpa, crede di essere vittima di un complotto al quale partecipano molti suoi conoscenti, incluso l’inquietante Ivan (John Sharian), frutto della sua fantasia secondo i suoi superiori.

Un ottimo thriller psicologico –prodotto da una piccola casa spagnola e pensato per l’esportazione– che, sebbene si possa facilmente ricondurre a Fight Club grazie ad alcune sfumature o giochi narrativi ormai poco originali, può vantare diversi punti di forza.

Innanzitutto una sceneggiatura impeccabile, che centellina con intelligenza indizi per tutto l’arco della vicenda, poi una direzione che, pur scagliandoci subito in medias res ponendo l’accento sulla cupa confezione, si rivela misurata e, infine, l’eccezionale attore protagonista Bale (lanciato da Spielberg a dodici anni ne L’impero del sole, già in American Psycho e futuro Batman) capace di perdere fino a trenta chili e contribuire così all’autenticità del suo complesso personaggio, un essere visibilmente martoriato dal rimorso quasi come un moderno Cristo.

Un’opera unica, che si congeda lasciando al pubblico tutti i dubbi solitamente suscitati da un cult.

Ma, come ogni cult, o si ama o si odia.

Sax Marmotta