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Recensione

Dopo l’ottimo Che Dio ci perdoni, Rodrigo Sorogoyen e il camaleontico, formidabile Alberto de la Torre tornano a collaborare per un thriller politico (sceneggiato magnificamente dallo stesso regista con la fedele Isabel Peña) che, sebbene eviti riferimenti a partiti, eventi o specifici malaffari, picchia duro sul deterioramento del sistema.

Al centro della vicenda c’è lo zelante e corrotto Manuel López Vidal, pronto a coprire le magagne d’un collega ma affatto disposto a fungere da capro espiatorio quando l’insabbiamento gli si ritorce contro.

Da esperto squalo che sa come difendere la sua privilegiata posizione e ribadire il suo effettivo potere, l’uomo semina prove, stipula nuove alleanze (perfino con Alvarado/Francisco Reyes, “volto pulito” della sua congrega), si procura (anche rischiando la vita) ulteriori pezze d’appoggio (il piano-sequenza in cui penetra nottetempo in casa dell’assente Bermejo/Andrés Lima durante un party clandestino è fra i più belli e coinvolgenti del decennio, tuttavia l’intercettazione dell’improvvisamente annichilito finanziatore disonesto Cabrera/Luis Zahera non è da meno), flirta con una stampa – rappresentata dalla professionale Amaia Marín/Bárbara Lennie – che deve fare i conti con i propri compromessi (pure commerciali).

Questioni morali (per chi parteggiare, nel degrado?) sollevate con arguzia dal copione (non fatevi scoraggiare dal verboso avvio), sulle quali discutere animatamente.

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Max Marmotta