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Recensione

Un remake, per definizione, presta il fianco ad accuse di scarsa originalità.

Però è un’operazione che ha modo di sfoggiare le sfumature più disparate: può essere assai fedele al prototipo, aggiornato, ricollocato, del tutto rielaborato.

Dunque, il preconcetto, come sempre, è fuori luogo: chi si cimenta con uno di questi adattamenti raccoglie una sfida, benché goda della comodità di attingere da una fonte preesistente.

Il quotato sceneggiatore (e occasionalmente regista) Ray qui si rifà addirittura all’omonimo vincitore dell’Oscar Straniero del 2009.

Ma il sapido lungometraggio firmato da Juan José Campanella, in prodigioso equilibrio tra giallo, ricostruzione storica, thriller e pellicola romantica, aveva un saldo riferimento negli indimenticati orrori perpetrati dalla dittatura argentina; riambientare la trama negli USA comportava la scelta di uno sfondo altrettanto drammatico per la caccia all’assassino, trovato nel mestamente attuale terrorismo.

La vittima è figlia di un’agente FBI (Roberts, brava ma “impagliata”), sorretta dall’affetto e dall’infaticabile zelo di un collega (Ejiofor di 12 anni schiavo) che non cessa d’indagare per incastrare il colpevole e che si strugge, silenziosamente ricambiato, per un’acuta superiore (Kidman, tornata finalmente in luminosa forma), mentre il loro capo (Molina) pensa solo a diventare governatore (aspirazione fortemente condizionante).

Nel complesso: accessorio ma ben realizzato.

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Max Marmotta