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Trama

Mentre Frodo, Sam e l’infido Gollum continuano il loro difficoltoso viaggio verso il Monte Fato, ove intendono distruggere l’anello del potere, il signore del male Sauron riorganizza le proprie forze.

Perso difatti Saruman e le sue arti magiche, invia una nuova armata di orchi da Mordor alla volta di Minas Tirith, capitale del regno di Gondor, governata dal soprintendente Denethor, padre dei cavalieri Boromir e Faramir.

Théoden, sire di Rohan, accorre allora in aiuto di Minas Tirith, una volta che lo stregone Gandalf e l’hobbit Pipino fugano i suoi dubbi sulla lealtà del signore della città.

Ma l’esercito degli uomini non è sufficientemente numeroso per ottenere la vittoria. Allora Aragorn, accompagnato dai fidi Legolas e Gimli, si addentra nella Montagna dei Morti alla ricerca di altri alleati brandendo la spada di Isildur, riforgiata dall’elfo Elrond, preoccupato per la sorte della figlia Arwen, legata a quella della Terra di Mezzo.

Recensione

Se i primi due film della trilogia lasciavano solo sospettare che il maggiore ciclo narrativo del ‘900 avesse trovato espressione nel migliore cinema del neonato XXI secolo, allora Il ritorno del re ce ne dà la piena conferma, collocando al contempo l’autore neozelandese nell’olimpo dei grandi registi popolari, tra Spielberg e Lucas.

Ciò a cui assistiamo non è solo la definitiva rinascita, grazie alle avanzate tecnologie della Weta, del genere fantasy, ma piuttosto un vero e proprio capo d’opera, capace di impreziosire anche le sue lievi e comunque visibili imperfezioni.

La prima ora, infatti, per quanto discretamente lenta, funge in realtà da lungo prologo al trionfo del talento visivo di Jackson, che spadroneggia con monumentale eleganza per tutto il resto della pellicola.

E ricalcando proprio questa climax, ogni personaggio principale completa il suo percorso formativo senza rimanere immutato, ad eccezione del traviato Gollum (l’incredibile attore/mimo Andy Serkis, i cui movimenti ed espressioni sono stati rielaborati al computer).

Il vero protagonista diventa quindi, al di là dell’evidente coralità di caratteri, l’eroismo, ostentato con audace sprezzo del pericolo e lealtà da una Terra di Mezzo vecchia e morente e, proprio per questo, capace di un ultimo temerario sussulto.

Contrariamente al progetto dei fratelli Wachowski, una trilogia in crescendo, la quale riesce pure a prendere le distanze da altre operazioni commerciali, come l’Harry Potter cinematografico.

Sax Marmotta