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Trama

Monty Brogan è uno spacciatore attivo nei quartieri alti di New York. Incastrato da una soffiata, viene arrestato, processato e condannato a sette anni. L’uomo decide così di trascorrere le ventiquattr’ore che precedono l’incarcerazione con le persone a lui più care: la fidanzata portoricana Naturelle Rivera, l’anziano padre gestore di bar James e gli amici di sempre Frank Slaughtery, aggressivo squalo di Wall Street, e Jakob Elinsky, impacciato professore di liceo turbato dalla sua appariscente alunna Mary D’Annunzio.

Ma anche Kostya Novotny e lo zio Nikolai, vecchi soci d’affari di Monty, hanno intenzione di organizzargli una sorta di festa d’addio.

Recensione

Complimenti al maturo Spike Lee per avere realizzato la sua migliore opera politica, a metà strada tra la verbosità tipica delle prove più recenti e la poesia che contraddistingue il vero autore.

Una pellicola attraverso la quale il cineasta di colore comunica la necessità di fare un bilancio sulla società americana dopo l’11 settembre.

Ne scaturisce una visione d’insieme per lo più pessimista, incentrata sulla generazione nata e cresciuta nei libertari anni Settanta e ora condannata ad adorare ossessivamente gli idoli che cavalcano due secoli: denaro e sesso.

Frank (un incredibile Barry Pepper) e Jakob (un sempre bravo Philip Seymour Hoffman) incarnano così l’ipocrisia di un mondo immutato, incapace di andare oltre l’apparenza e il colore della pelle, di assumersi le proprie responsabilità (la splendida sequenza dello specchio, sulla falsariga di Fa’ la cosa giusta) e soprattutto di intravedere un possibile punto di contatto, anche quando i contrasti tra amici hanno sullo sfondo le spettrali immagini del Ground Zero.

In mezzo a tali inconsapevoli peccatori, il regista porta la redenzione con toni cristiano-cattolici propinandoci come improbabile Gesù Cristo un autentico peccatore (l’eccezionale Edward Norton/Monty), almeno secondo l’accezione più comune, il quale si fa carico di colpe non interamente sue per lasciare inconsciamente la speranza e ritirarsi poi nell’ombra.

Un’aura fortemente negativa che trova definitiva espressione in chiusura, quando la disillusione dei giovani concede a prima vista spazio all’incrollabile fiducia nel futuro degli anziani, sintetizzata dal grandissimo Brian Cox (James Brogan).

Sax Marmotta