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Trama

La giovanissima Paikea, abitante di un villaggio neozelandese nel quale convivono tradizione e modernità, è molto affezionata a suo nonno Koro, capo della comunità e diretto discendente di colui che, secondo la leggenda, raggiunse le coste a dorso di balena salvando il suo popolo; ma l’uomo la tollera appena.

Il fatto è che secondo lui Pai, come tutti la chiamano, non solo porta indegnamente il nome del mitico personaggio, ma è l’indiretta responsabile dell’interruzione della stirpe, poiché nata da un parto sfortunato durante il quale morirono sua madre e il suo gemello.

Il padre della piccola, Porourangi, che sta tentando si rifarsi una vita in Germania, la ama profondamente, tuttavia ciò non impedisce alla ragazzina di sentirsi esclusa.

Di nascosto, Pai cerca di imparare i segreti del comando e della lotta. La sostengono la nonna Flowers e lo zio Rawiri. Koro, però, rimane molto contrariato.

Recensione

Contro il cinema di routine, ecco una bella ventata d’aria fresca. Non tanto per le tematiche affrontate (l’emarginazione della donna è un problema secolare che non può certo dirsi debellato), quanto per l’immersione nell’affascinante cultura maori, già presentataci con crudezza e maggiore impatto drammatico da Once Were Warriors nel 1994.

Anche qui, infatti, lo stile di vita agiato non cozza con le usanze più radicate dei protagonisti, mediazione (precaria) che comunque non aiuta la tenace e contemporaneamente rispettosa protagonista (la strabiliante Keisha Castle-Hughes, parecchio somigliante ad una giovane Jennifer Beals) ad essere accettata dal rustico nonno (Rawiri Paratene).

Un rapporto già in bilico che si sgretola per colpa dell’aspetto più retrogrado di un’antichissima tradizione, che però si fa sempre in tempo a sfatare.

Magari il film della Caro (Memory & Desire) potrà sembrare a tratti eccessivamente fiabesco, di sicuro è pieno di suggestioni.

Basti pensare alla mesta scena dei cetacei arenati, allegoria di un popolo che rischia la cancellazione della propria identità proprio a causa dei malefici influssi della società dei consumi e dei residui di colonialismo ancora vigenti.

Le musiche di Lisa Gerrard conferiscono alle immagini un tocco ulteriormente suadente.

Max Marmotta