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Recensione

Nessuna influenza dichiarata, ma è lampante che alla base della trama di questa commedia, sceneggiata da Jon Lucas e Scott Moore e diretta dal non sempre disprezzabile Mark Waters (oltre che per l’indeciso eppur solleticante esordio La casa del sì, val la pena ricordarlo per Quel pazzo venerdì, Mean Girls e Se solo fosse vero, meno per Top model per caso e per il forse eccessivamente commerciale fantasy Spiderwick – Le cronache), c’è l’immortale “Canto di Natale” di Charles Dickens, spesso tradotto per lo schermo (persino dalla Disney, dai Muppet e da Bill Murray in S.O.S. fantasmi di Donner). Soltanto che in questo caso gli spettri che fanno visita al fotografo di successo Connor Mead (Matthew McConaughey), specializzato in rapporti brevissimi con donne alle quali spezza il cuore, non rappresentano i Natali, bensì le compagne passate, presenti e future, e sono introdotti dal defunto zio Wayne (un Michael Douglas perfettamente in parte), anch’egli ricchissimo dongiovanni che sembra non aver perso il vizio, sebbene si palesi per redarguire il nipote prima che sia troppo tardi.

Un parallelismo che, probabilmente, non regge fino in fondo, però funge da traino a una serie di situazioni sufficientemente godibili (magari qualcuna no), tenute insieme con l’apporto complice degli attori, dalla ferita e volitiva Jennifer Garner (Jenny, votata dall’infanzia a essere la fidanzata ideale del protagonista) ad Anne Archer (Vonda, futura suocera di Paulie, fratello perbene del rubacuori al cui matrimonio accadrà di tutto), a Emma Stone (che ridimensiona la sua eccezionale avvenenza per interpretare Alison, il primo scatenato ectoplasma), per arrivare al prestante Daniel Sunjata (Brad, fusto intelligente che insidia con eleganza Jenny) e alla non accreditata Christina Milian, nel ruolo (autobiografico?) della cantante Keelia.

Max Marmotta