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Trama

Byron Tiller vive un brutto periodo. Ex-pubblicitario di Pasadena, si è crogiolato nelle buone recensioni apparse riguardo al suo unico libro, “Il figlio di Hitler” (comunque un mezzo fiasco nelle vendite), e ha puntato tutto su un nuovo romanzo che il suo editore Virgil ha rifiutato di pubblicare con una scrollata di spalle.

La moglie Dena crede molto in lui, ma l’uomo, che non è neanche riuscito a riprendersi il vecchio impiego e non ha ottenuto un soldo chiedendo (di malavoglia) un prestito allo sprezzante suocero, sente che il baratro è vicino.

Una sera un tipo benvestito, Luther Fox, lo avvicina in un bar e gli propone di lavorare per lui presso l’agenzia “Campi Elisi”, dove trovano compagnia le signore sole.

Giunto alla disperazione, Byron, di nascosto a Dena, accetta e si ritrova per collega il superficiale Nigel.

Il neo-assunto non sospetta che la sua prima cliente, Andrea, è la giovane moglie del mito letterario Tobias Alcott, premio Pulitzer, anziano e condannato da un male incurabile.

Quest’ultimo, assai tollerante nei confronti della vita sessuale della consorte, si mette nelle mani di Byron per rivedere il suo ultimo scritto.

Recensione

Strizzate d’occhio letterarie a iosa (il protagonista risponde al nome di Byron, si fa riferimento, pure nel titolo originale, ai Campi Elisi, dove, secondo mitologia, venivano accolti i favoriti degli dei), e bisogna ammettere che il regista Hickenlooper (coautore del documentario su Apocalypse Now, Viaggio all’inferno), tutt’altro che stupido, conduce la melanconica trama con un occhio ai film di una volta.

Chi sembra crederci di più è il protagonista-produttore Andy Garcia: nella prima parte il suo personaggio comunica il disagio e la frustrazione di chi insegue il proprio sogno sentendoselo sgusciare fra le dita.

Successivamente, il carattere ridimensiona la sua ambizione e la muta in prostituzione (metaforica e vera, con tanto di tradimento troppo “spensierato” e perciò poco credibile) per l’arte: forse è più facile diventare il correttore di un grande alla fine della sua carriera che uno scrittore di nicchia, e chissà che non ci sia un premio in palio.

Anche le amicizie, però, ingannano. Conclusa con uno sciocco inno all’autobiografismo (dannoso, se non sei Proust) che vorrebbe essere toccante (e per vie traverse lo è) ma è principalmente melenso e perciò fuorviante, la pellicola ci mostra una delle ultime interpretazioni di James Coburn (Tobias); tuttavia è il ruolo secondario di Anjelica Huston (Jennifer, cliente-quasi-compagna di Luther) a lasciare un’impronta più forte.

In quanto a Jagger (nei panni di Fox, superflua voce narrante), è senz’altro un bel tipo e il carisma non gli è mai mancato: se facesse più cinema potrebbe imparare a recitare.

Max Marmotta