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Trama

Irlanda, 1964. Margaret, violentata dal cugino, Bernadette, scacciata dal collegio per l’eccessiva frivolezza, e Rose, ragazza madre, tutte ripudiate dalle proprie cattolicissime famiglie, si ritrovano in una delle tante Case della Maddalena sparse per l’isola.

Si trattava di istituti gestiti con grande rigore dalle suore, nei quali le giovani considerate deviate erano condannate al duro lavoro di lavanderia per molte ore al dì, al silenzio e all’umiliazione.

Le tre nuove arrivate, da subito messe in riga dall’inflessibile e avida superiora, fanno così la conoscenza di altre infelici “recluse”, fra cui la fuggiasca Una e la bistrattata Crispina, in quel luogo per motivi analoghi a quelli di Rose, nel frattempo ribattezzata Patricia.

Recensione

Dramma secco e calibrato orchestrato dal bravissimo Peter Mullan (attore per Loach e Figgis, qui presente in una sola scena nel ruolo del padre di Una), alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa (dopo Orphans).

La ricostruzione è spietata, e i trattamenti che venivano riservati alle ragazze, spesso ree di colpe inesistenti nonché costrette a subire inutili angherie, magari derivanti dalle frustrazioni altrui, sono narrati con la consapevolezza di lasciare il giudizio, peraltro ineluttabile, al pubblico.

Di proposito, per esempio, sono distribuite qua e là pause infingarde in cui la pena sembra addolcita, come la corsa nei sacchi o la rivelata passione per il cinema (il film è Le campane di Santa Maria, con la Bergman) della per un istante ammansita direttrice.

In tanta mestizia si colloca a puntino persino qualche liberatorio momento tragicomico, e le immagini ottenute con l’aiuto del valido direttore della fotografia Willoughby rimangono impresse (si pensi all’aguzzina riflessa nell’occhio della ribelle o alla morte nostalgica dell’anziana sorvegliante, ringiovanita per metà).

Insomma, una buona dose di classe per un’opera sostanzialmente retta da protagoniste volitive. Leone d’Oro Venezia 2002.

Max Marmotta