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Recensione

Il gangster movie sembra essere superato, i film su John Dillinger, bandito e rapinatore di banche (e formidabile evasore dopo ogni arresto) ai tempi della Grande Depressione (il che lo rendeva piuttosto popolare per la gente in bolletta), non mancavano, lo scontro bene/male con luci e ombre equamente e ambiguamente distribuite è stato proposto spesso (sebbene con risultati di livello diverso), la sceneggiatura, tratta da un libro di Bryan Burrough, scritta da Ronan Bennett, Ann Biderman e dallo stesso regista Michael Mann, uno meticoloso che prima di imbarcarsi in un progetto ci pensa assai, si concentra sulle azioni più che sui nessi, rischiando seriamente la ripetitività.

A sorpresa, Mann volge a suo favore, e con estrema disinvoltura, tutti questi elementi. Riscrive abilmente il genere con un occhio costante ai classici (specie per quel che concerne l’ambientazione), e, abbastanza memore del suo Heat, inocula al criminale protagonista (il solito perfezionista Depp) un romanticismo non banale, contrapposto con intelligenza al cinismo di Purvis (solida l’interpretazione di Bale), il funzionario, a sua volta pressato da Hoover (un ingobbito Crudup), che gli dà la caccia per questioni maggiormente legate al prestigio, personale e del suo bureau, che alla giustizia, gettando le basi dell’FBI come lo conosciamo oggi.

Inoltre, il fatto che si proceda per furti a mano armata, omicidi e inseguimenti non annoia punto, ma crea un ritmo sincopato straniante e coinvolgente insieme, con una violenza spogliata di ogni spettacolarità, a riprova, anzi, dell’inevitabile china che imboccano i fuorilegge incalliti (Dillinger cadde a Chicago nel 1934 colpito dagli agenti all’uscita di un cinema che proiettava Le due strade).

Tantissimi e azzeccati i comprimari, fra i quali la Cotillard (l’innamorata Billie Frechette).

Max Marmotta