Video & Photo

1 videos

Recensione

Ecco uno di quei titoli scelti dalla distribuzione italiana atti ad allontanare chi detesta le romanticherie prediligendo i soggetti più concreti e a deludere chi invece è accorso a gustarsi una sana storia di sentimenti con il divo di turno.

Già, perché Parole d’amore, a dispetto di quanto sembrerebbe evidente, in originale suona come “la stagione delle api”, ma si riferisce più precisamente all’annuale campionato di sillabazione (o, se preferite, spelling) che si tiene fra le scuole degli Stati Uniti, dove i bambini si cimentano nella scomposizione di vocaboli complicati (a volte stranieri) dei quali, nella maggior parte dei casi, non conoscono neppure il significato (ma possono domandarlo, così come è lecito informarsi sull’etimologia del termine).

Ci vuole dunque bravura ed anche talento, ed è ciò di cui è provvista Eliza (Flora Cross, che ha sostituito la bravissima ma onnipresente Dakota Fanning), figlia di un professore di religione ebraica, Saul (Richard Gere), tanto disponibile quanto invisibilmente opprimente (lui, almeno, non se ne accorge), e di una ricercatrice medica, Miriam (Juliette Binoche), apparentemente serena eppur rosa da un male di vivere tutto “familiare”.

E non è che il maggiore, Aaron, con il suo represso desiderio di “conoscenza non mediata”, se la passi meglio.

Diretto con buone intuizioni visive (le lettere che danno luogo alle risposte esatte di Eliza, in una sorta di estasi mistica crescente, danzano appunto come insetti, l’invadenza musical-culinario-organizzativa del padre e la sua sostanziale incapacità di vero affetto e autentica comprensione verso i suoi cari) dai registi dell’interessante I segreti del lago, il film soffre forse dell’aura di Gere, calato nel ruolo però teso ad influenzare “commercialmente” una trama d’autore; tuttavia, a chi sa cosa va a vedere piacerà.

Max Marmotta