Video & Photo

1 videos

Trama

Firenze, 1555. Il duca Cosimo I comanda al pittore manierista Jacopo Carucci da Pontormo l’affresco del coro nella chiesa di San Lorenzo (che verrà completato in seguito dal seguace Bronzino).

L’artista, ormai vecchio e abbastanza in crisi, si mette al lavoro con il giovane assistente Battista, preoccupandosi di ogni dettaglio, dalla preparazione dei colori delegata allo speziale Anselmo alla riparazione delle crepe affidata all’esperto mastro Rossino.

Pontormo osserva senza eccezioni un principio: non mostrare mai a nessuno, né all’insistente committente, né all’insinuante inquisitore, pronto a trovare nell’opera in atto provocazioni e blasfemie, un dipinto incompiuto (e perciò soggetto a modifiche).

L’uomo s’imbatte anche nella fiamminga Anna, privata della lingua durante la Guerra delle Fiandre, e le chiede di approntare un arazzo.

Quando la giovane è accusata di omicidio e stregoneria, Pontormo interviene in sua difesa.

Recensione

Un pittore in ombra, quello riportato agli onori della cronaca –anche solo cinematografica– da Giovanni Fago (Sulla spiaggia e di là dal molo), come d’abitudine affiancato dal fratello Amedeo (a sua volta regista di Giochi d’equilibrio) alle scenografie e da vari altri parenti nelle più disparate mansioni: il Pontormo (1494-1556) ha tuttavia rivestito un ruolo importante nell’Italia tardo-rinascimentale, e meritava una riscoperta.

Sfortunatamente, Fago, che dimostra comunque di avere delle discrete idee, dispone di un buon cast (da menzionare almeno il priore di Bertorelli, il Bronzino di Wertmüller, l’Anselmo del solitamente teatrale Lombardi, già ne Il mnemonista di Rosa, il Rossino di Luotto, il Battista di Palmarini e l’inquisitore di Terzieff) ma non di un’adeguata scioltezza narrativa.

Così lo svolgimento della trama, pur vibrante per alcune tematiche naturalmente attualizzate (l’agire secondo coscienza, le regole auree, il ruolo dell’artista), accattiva con fatica, respingendo come può le troppe similitudini con le produzioni didattico-televisive.

Peccato, perché l’ingrigito Mantenga aderisce al suo ruolo e la musa con figlioletto della Ranzi (personaggio di fatto inventato dagli sceneggiatori) è particolarmente credibile.

Max Marmotta