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Recensione

Anche ai migliori capita di commettere degli errori, sebbene da Alejandro Amenábar (autore degli apprezzati The Others, Mare dentro e Agora) proprio non c’era da aspettarselo.

La sua capacità di ridisegnare thriller e dramma in ambiti sempre diversi in quest’opera tratta da una storia assurdamente reale sembra irreperibile.

E ciò a dispetto di un protagonista scelto con oculatezza, quell’Ethan Hawke che, tra un Sinister e un La notte del giudizio, ha dimostrato di sapersi muovere sensatamente nel contesto dell’allegorico horror contemporaneo.

La trama, calata nel 1990, prende le mosse da una ragazza di provincia (Emma Watson, pure lei al suo primo vero passo falso) probabilmente violentata dal padre (David Dencik), il quale per questo si autodenuncia.

Però dagli interrogatori risulta chiaro che l’uomo non ha memoria dell’accaduto, così si ricorre a uno psicologo (David Thewlis, clamorosamente scialacquato), entusiasta sostenitore della moderna (e oggi sorpassata, per dirla tutta) tecnica ipnotica della regressione, che aiuta i soggetti a rievocare i ricordi rimossi.

Compaiono possibili moventi satanisti, e la faccenda impressiona sempre più il poliziotto che indaga.

Bella forma, ma evoluzione claudicante, nebulosa, inefficace. Tanto che lo script avverte il bisogno di una spiegazione conclusiva che – vacuamente – riveli le cause delle comunque poche suggestioni proposte.

Max Marmotta