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Recensione

È opportuna una premessa: la commedia sentimentale in questione, scritta con brio da Pete Chiarelli (usualmente produttore) e brillantemente diretta da Anne Fletcher (attrice-ballerina che esordì dietro la macchina da presa, non a caso, con Step Up, realizzato con mero mestiere, e si è confermata cineasta da tenere d’occhio con il gradevole 27 volte in bianco), annovera battute più fulminanti nell’edizione originale che in quella doppiata, pur professionale.

È una considerazione che vale quasi sempre, magari d’importanza relativa (solo apparentemente), ma che riemerge ogniqualvolta si abbia l’occasione di vedere/ascoltare le due versioni.

Specificato questo, va ribadito il piacere derivante dalla scorrevolezza del film, dotato di personaggi accuratamente scontornati, la cui evoluzione, per quanto ottimistica, è abbastanza coerente.

Ci riferiamo in particolare a Margaret Tate (ironica e perfetta Sandra Bullock), zitella, additata come un’arpia in ufficio (ha un posto di responsabilità in una casa editrice), che vive per lavorare, e al suo vice Andy Paxton (il bravo Ryan Reynolds, del quale forse il pubblico d’ora in avanti si ricorderà), che viene da lontano e, malgrado origini agiate, vuole farsi le ossa a New York.

Gli equilibri, già instabili, sono definitivamente compromessi dalla scadenza del visto di Margaret, proveniente dal Canada; dato che ha poco tempo prima di essere cacciata, escogita all’improvviso un rischioso “matrimonio di convenienza” (non è la prima volta al cinema…) con il vessato Andy, che riesce però a imporre alcune vantaggiose condizioni.

L’impianto funziona anche grazie alla verve degli attori, compresi i caratteristi (citiamo per tutti il “factotum” Oscar Nuñez), che invitano a perdonare qualche momento di stanca o delle scene francamente inutili (per esempio la danza rituale nel bosco).

Max Marmotta