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Recensione

Quel che vale per la maggior parte dei film in serie (o per le saghe tanto di moda) sembra non contare per Spider-Man: sceneggiature che non tradiscono né la logica apparentemente “distratta” del fumetto, che pure ha le sue regole (per esempio, l’eroe non può uccidere), né quella cinematografica, effetti speciali progressivamente più strabilianti che non offuscano, bensì valorizzano la trama, attori generosi che riprendono i propri ruoli (Maguire, Dunst, Franco, Harris, Simmons, Nunn) anche se i loro personaggi sono defunti già dal primo episodio (Dafoe, Robertson, Papajohn) o che si producono in comparsate sempre nuove (Bruce Campbell, sodale del capace regista Sam Raimi, e Stan Lee, autore delle mitiche strisce dell’Uomo Ragno), o ancora che si aggiungono al già nutrito cast, disposti perfino, da caratteristi “di lusso”, a pronunciare appena un paio di battute (Theresa Russell, Dylan Baker).

Se proprio si deve trovare un neo, questa terza avventura, in cui Peter Parker fronteggia simultaneamente la sete di vendetta dell’ex-amico Harry Osborn (erede di Goblin), l’arrivismo dell’inetto fotografo Eddie Brock (che si muterà accidentalmente nell’orrido Venom), l’istinto di conservazione dell’evaso Flint Marko (Sandman suo malgrado) e quello matrimoniale della fidanzata aspirante attrice Mary-Jane, forse per voler stipare troppi elementi (tra sequenze al fulmicotone e potenziali nemici), raggiunge una durata ragguardevole per un’opera commerciale (ma, considerati i sapidi sottotesti su ambizione e perdono, lo è davvero?).

Tuttavia, il livello qualitativo permane talmente elevato che si riesce a passar sopra sia a lungaggini e trambusti (in alcune sequenze), sia (addirittura!) alla prospettiva, realisticamente assai concreta, di una futura quarta puntata.

Anzi – auspicando razionalmente che sia l’ultima – quasi ci si spera.

Max Marmotta