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Recensione

Markus Zusak ha scritto il romanzo di successo dal quale Michael Petroni ha ricavato la sceneggiatura della pellicola diretta da Brian Percival.

Anzitutto, viene da interrogarsi sul perché in un lungometraggio anglofono si distinguano (dal labiale) delle parole in tedesco, e soprattutto sul motivo per cui, in un’ambientazione germanica, libri e abbecedari debbano essere in inglese.

Inoltre, all’autore originale si potrebbe chiedere conto del generalizzante nome affibbiato al ragazzino cattivo (Deutscher), e come mai il valoroso Rudy, coetaneo di Liesel (bambina affidata per necessità a una coppia in cerca di sussidi), non si buschi una polmonite gettandosi nel fiume gelato, mentre ai responsabili del film (che, facendo qualche calcolo, si chiude in un futuro prossimo) andrebbe domandato un chiarimento sulla scena (sulla pagina maggiormente circostanziata) dove la bofonchiante (e meno arcigna di quanto sembri) madre adottiva (Emily Watson) della protagonista (Sophie Nélisse) – affezionatasi alla lettura, e successivamente salvatrice di volumi, grazie al paziente babbo acquisito Geoffrey Rush – si reca a scuola fra vari sotterfugi.

Nel flusso generale di immagini ed emozioni, sono in effetti dettagli (non tutti perdonabili), al pari di una tendenza alla maniera della recitazione (a parte i due attori di vaglia).

Probabilmente vale di più, nel complesso, la rappresentazione della “parola di vita” che c’è in ogni essere e che dà ossigeno.

E forse pure la cupa ironia della Morte, narratrice (con voce maschile) d’eccezione.

Max Marmotta