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Recensione

Sorprende davvero il sentito omaggio di Everett al suo idolo Wilde, al quale si sente evidentemente molto vicino (affine sarebbe troppo).

Anzitutto perché l’attore britannico, che non aveva esperienze di scrittura e regia cinematografica, riesce a proporre un viaggio empatico verso il deperimento fisico e creativo del geniale autore  e commediografo dublinese (da lui credibilmente impersonato, come già accaduto in teatro) nei pochi mesi rimastigli dopo la scarcerazione, vissuti tra Francia e Italia.

I due anni di lavori forzati inflittigli (per omosessualità), il retrogrado disprezzo di chi prima lo osannava (struggente la sequenza d’apertura con Anna Chancellor), l’allontanamento da moglie e figli e perfino la rinnovata (e sconsigliata) frequentazione con l’amante Bosie (un viscido Colin Morgan) lo provarono definitivamente, e poco poterono i fedeli amici Robbie Ross (Edwin Thomas) e Reggie Turner (Firth, con Rupert fin dagli esordi).

Coproduzione complessa e opportunamente poliglotta, si distingue per la fotografia “malata” di John Conroy (culminante nello scontro in chiesa), gli acuti andirivieni temporali (montaggio di Nicolas Gaster), il dosaggio dei dialoghi (tra aforismi e il bellissimo racconto della rondine e della statua di bronzo – simbiosi tra l’artista e la sua ispirazione – che attraversa e intitola il film), la comparsata dell’amata Dalle.

E perfino per l’umile, democratico ordine dei credits finali.

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Max Marmotta