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Recensione

Prosegue il suo personale discorso sul confronto tra settentrione e meridione italico Luca Miniero, come già aveva fatto nelle sue precedenti regie in solitaria, ovvero il dittico formato da Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord (ma il tema era già in nuce nel suo esordio in tandem con Paolo Genovese, Incantesimo napoletano).

Un filone comunque “tradizionale” nel nostro cinema, che però mai come adesso appare pericolosamente appannato.

A parte la certificata simpatia del cast, non offre tantissimo il soggetto basato su un delinquente sotto processo forse affiliato alla camorra, Ciro (Rocco Papaleo, intenzionalmente sfoggiante però un accento più lucano che campano), che opta per trascorrere comodamente i domiciliari – ci fosse nell’arco del film un carabiniere che va a controllare! – presso l’ineccepibile abitazione bolzanina della sorella Carmela, oggi auto-ribattezzatasi Cristina (Paola Cortellesi), convolata a giuste nozze con l’autoctono Michele (Luca Argentero).

Il quale subisce, al pari dei suoi bambini, le rigide regole casalinghe e ha qualche preoccupazione lavorativa (spera in una promozione nella società immobiliare per cui lavora) ed economica.

L’autore coinvolge pigramente qualche suo attore di fiducia (Angela Finocchiaro, Salvatore Misticone), lascia Franz in subordine rispetto allo zelante Ale e, al di là del riprovevole opportunismo riservato alla classe abbiente, non riesce a pungere a sufficienza.

Anzi, molla perfino qualche gag discutibile in un contesto che non ha la forza del politicamente scorretto.

Max Marmotta