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Recensione

Forse è un po’ rigido il nuovo film della danese Susanne Bier, raffinata narratrice giunta al terzo lavoro recitato in inglese (dopo Noi due sconosciuti e Love Is All You Need), nel senso che l’impianto, discendente da un romanzo di Ron Rash, è serioso, a prescindere dall’epilogo.

Eppure quest’aspetto monolitico non nuoce ma anzi si addice alla confezione mélo, calata nel North Carolina della Grande Depressione.

Qui opera George, un ricco e fin troppo scaltro industriale del legname, che all’occorrenza (cioè quando c’è da tirar fuori le bustarelle, o perfino peggio) si fa crescere il pelo sullo stomaco.

Incontra una bella e introversa ragazza, Serena (così si chiama anche il libro d’origine), passato difficile e indole forte, possibilmente non del tutto stabile e addirittura in grado di risolvere ancor più drasticamente i problemi, e la sposa.

Due personaggi opachi (resi con misura da Bradley Cooper e Jennifer Lawrence, per la terza volta insieme sullo schermo in appena un paio d’anni), e si tratta senz’altro dell’aspetto più interessante della pellicola, quello – peraltro – che rende difficile entrare in empatia con loro (a seguire, c’è la bravura dei comprimari, dallo scurito Ifans al retto Jones).

Un rischio superato dalla cupa ma in buona sostanza coinvolgente evoluzione del soggetto, che lascia volontariamente (e con calcolo) alcuni dettagli in sospeso.

Un sogno d’amore e di ricchezza infranto per colpa della bassa indole umana, simboleggiata dal puma che, con passo felpato, attraversa la trama.

Max Marmotta