Video & Photo

1 videos

Recensione

Vedere V per Vendetta in questo momento storico può spiazzare non poco. Ma basta attendere i titoli di coda per rendersi conto della reale portata dell’operazione. Il progetto si ispira infatti all’omonimo romanzo a fumetti partorito durante l’era tatcheriana da David Lloyd e Alan Moore ed è diretto da un ex-assistente di Lucas e dei fratelli Wachowski, i quali, a loro volta, figurano come sceneggiatori e produttori.

La vicenda si volge nel 2020 in una Londra oppressa da un governo postnazista tecnologico, che rinchiude omosessuali, neri, islamici e oppositori per farne oggetto di esperimenti alla Mengele.

Indossando la maschera di Guy Fawkes, cospiratore cattolico che il 5 novembre 1606 tentò di fare esplodere il Parlamento, il misterioso V (l’ottimo Weaving, che non mostra mai il suo volto) si erge a pericoloso avversario del cancelliere Sutler (Hurt, già interprete di 1984 tratto da Orwell): sulle note di Ciaikovskij rade al suolo monumenti e prende momentaneamente il controllo della tv di stato, annunciando di volere emulare Fawkes.

V inoltre salva la vita alla fragile Evey (Portman), la quale sceglierà di seguire le orme del vendicatore.

E proprio nel protagonista risiede la forza della pellicola. Romantico e sfigurato come il Fantasma dell’opera, machiavellico e determinato come il Conte di Montecristo, vittima del regime prima che fustigatore.

In sostanza, un perfetto antieroe che coniuga la tradizione e le mode attuali, collocato peraltro in un contesto dove buoni e cattivi sono delineati come in un fumetto e, quindi, ben distinti.

E anche se non manca la retorica, l’opera risulta in definitiva un curatissimo ed avvincente film d’azione, con contenuti fantapolitici sulla falsariga di Munich e una lunga parentesi verbosa, tutt’altro che pleonastica, rara nel genere.

Sax Marmotta