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Recensione

Quell’“inizio” appiccicato al titolo italiano è l’indizio che lascia presagire quanto i produttori contino di ricavare una nuova redditizia saga a partire dal tambureggiato adattamento cinematografico del famoso videogioco della Blizzard World of Warcraft.

Per fortuna questo rischioso fantasy segna pure la conferma del talento e della misura del figlio d’arte Duncan Jones (figlio del compianto David Bowie, che da attore il genere l’ha bazzicato abbastanza) dopo il minimale e acuto Moon e il coinvolgente Source Code: sarebbe bastato qualche squilibrio per condurre a uno sfacelo! Invece il film intriga e delinea appropriatamente caratteri e conflitti.

Al centro dell’azione ci sono un portale che congiunge l’appartato mondo degli orchi (resi maestosamente dal motion capture) a quello degli umani, un condottiero spietato, Guldan (dietro il “vestito” digitale c’è Daniel Wu), che fa uso della magia, una sostanza verde, il minaccioso e perfino un po’ allegorico Vil, che sottrae crudelmente energia agli esseri viventi ma inaridisce i cuori.

Più che di un (auto)deflazionato Signore degli anelli, si sente l’influenza – oltre che, ovviamente, dei televisivi Il trono di spade, dal quale proviene il musicista Ramin Djawadi, e Vikings, in cui lavora Travis Fimmel, che qui è l’eroico Lothar – di Avatar e persino del vecchio Legend di Scott.

Anche olivastra e zannuta, l’atletica Paula Patton (la meticcia Garona) permane splendida.

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Max Marmotta