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Recensione

Quando un comico della tv decide di debuttare al cinema da mattatore c’è spesso da tremare: gli script si rivelano pretesti per situazioni e maschere già note ai fans, con il risultato di non raccontare nulla e, peggio, di strappare pochissime risate.

Fortunatamente esistono le eccezioni, e Luca Medici, in arte Checco Zalone, è una di queste. Pur non discostandosi (sin nel nome del protagonista) dal suo personaggio di cantante di provincia (pugliese) ignorantissimo e riciclando (ma con sagacia) certi pezzi del suo repertorio cabarettistico, il nostro centra il primo bersaglio affidandosi a un regista, Gennaro Nunziante (co-autore con lui del copione), che, sebbene al debutto, vanta la partecipazione ad alcune fra le più oliate sceneggiature brillanti dell’ultimo decennio: Il grande botto, di Pompucci, a cui ha pure preso parte in veste di attore, così come in Casomai di D’Alatri, per il quale ha in seguito scritto La febbre e Commediasexi.

Dunque, la trama è perlomeno autonoma da qualsiasi sketch. In secondo luogo, il film è zeppo di gag inconfutabilmente spassose, che celano dietro un apparente e spiccio populismo la capacità di una critica sociale più accessibile e perciò più penetrante di qualsivoglia trattato: le cosiddette minoranze (termine orribile), bonariamente sfottute, ne escono in realtà valorizzate perché è ciascun punto di osservazione a risultare evidentemente distorto.

E se, per esempio, non si risparmiano stoccate al pensiero leghista, ce n’è perfino per il lassismo meridionale che l’ha alimentato.

Infine, la trama, malgrado l’“invadenza” di Checco, lascia dignitoso spazio agli altri caratteri, ben interpretati da volti conosciuti nonché da colleghi di Zelig (Raul Cremona, Claudia Penoni) e di Colorado Café (Andrea Midena, Stefano Chiodaroli, l’unico che, finora, sul grande schermo tituba).

Max Marmotta